L’albero del cacao è originario della foresta amazonica. Viene coltivato ai tropici, nella fascia compresa fra il Tropico del Cancro e quello del Capricorno ad un’ altitudine fra i 400 e i 700 metri, nelle terre sottratte alla foresta equatoriale. Col passare del tempo e grazie all’interazione dell’uomo con la natura, se ne sono sviluppate parecchie varietà. Oltre agli incroci, frutto della natura, si sono aggiunti gli ibridi realizzati grazie all’intervento dei coltivatori. La classificazione delle tipologie del cacao è ancora in corso e per nulla definitiva, fanno notare gli agronomi impegnati in questo lavoro.
Il clima ideale, per la crescita dell’albero di cacao, è caldo ed umido, dai 25 ai 30 gradi, non sopporta gli sbalzi di temperatura e la luce diretta del sole. Coltivato nelle zone equatoriali, fiorisce costantemente ed è carico di frutti per tutto l’anno. I fiori sono piccolissimi e inodori, con una colorazione tendenzialmente bianca, ma che può sfumarsi di giallo o rosa chiaro.
Coltivazione
Gli alberi di cacao vengono seminati e coltivati in vivai fino all’età di 2 anni, quando vengono piantati ad una distanza di 2,5 metri gli uni dagli altri. Cresce sulle terre conquistate della foresta equatoriale, ed ha bisogno di protezione da vento e pioggia. Per questo motivo, vicino al cacao vengono piantati limoni, banani o eritrina. Quest’ultimo è considerato uno degli alberi protettivi preferiti dai coltivatori, che lo soprannominano “La madre del cacao”, per la sua crescita rapida ed il suo fogliame rigoglioso che offrono protezione efficace ed in breve tempo. Nelle sue crescite spontanee, l’albero raggiunge i 10 metri di altezza, ma per facilitarne il raccolto, nelle coltivazioni non lo si fa crescere oltre ai 6 metri. L’albero inizia a produrre dopo sette/otto anni, e solo una piccola parte dei 3500/6000 fiori che crescono sul tronco durante tutto l’anno, verrà fecondato dagli insetti: soltanto dieci/venti fiori per albero daranno il frutto, la cabossa. Scimmie, scoiattoli e topi sono ghiotti della mucillagine acidula che avvolge i semi, quindi questi frutti vanno ben protetti! La maggior parte del raccolto avviene tra novembre e gennaio e tra maggio e luglio, ma nelle regioni molto umide viene raccolto tutto l’anno. Per la raccolta si utilizza un machete, o “ferro da cacao” che va maneggiato con estrema cura ed abilità, per non danneggiare l’albero e per non ferirsi!
Il frutto del cacao: la cabossa
Questo frutto si presenta con una particolare forma ovoidale ed appuntito alle estremità, ricordando un po’ una palla da rugby. Nasce sul tronco e sui rami della pianta a cui collegato tramite un picciolo. La lunghezza varia dai 15 ai 20 centimetri, e la sua buccia è davvero resistente, presentandosi dura in fase di maturità. Può contenere fino a 40 semi, chiamati fave, che sono custoditi in una polpa bianca, mucillagginosa e zuccherina (proprio quella di cui sono ghiotte le scimmie, come abbiamo visto poco fa!).
Fin dai primissimi tempi della storia del cioccolato, vi furono vicende ed atteggiamenti contrastanti nella relazione tra il cacao e la chiesa: i missionari, compagni dei conquistadores, da un lato ritennero che il cacao portasse al peccato carnale, dall’altro lo considerarono morale per essere una bevanda che non portasse all’ebrezza.
Secondo alcuni ecclesiastici, il cioccolato alimentava «il fuoco della libidine» e stuzzicava «gli stimoli della carne, qualunque si sia il cioccolatiero vecchio o giovane, huomo o donna». Nonostante questa concezione, papi, vescovi, abati, e cardinali facevano largo consumo della voluttuosa bevanda, ma soprattutto allora come oggi, sembrava non importare a nessuno, che l’importazione di cacao nascondesse una drammatica realtà:
Quando si prende il caffè, quando ci ristoriamo con la cioccolata, quando ci rallegriamo col borgogna pensiamo noi quanto è costata all’umanità la preparazione di queste delicate vivande? Sappiamo quanti negri, quanti schiavi, quanti innocenti hanno forse mancato del necessario nel tempo che ci provvedevano del superfluo? così come scrisse il funzionario granducale Giuseppe Bencivenni Pelli nel 1773.
I religiosi usavano consumare la cioccolata come ricostituente durante i digiuni, secondo il principio liquidum non frangit (la bevanda non vale). Ma anche questo proposito non mancarono le polemiche: la cioccolata era una bevanda o un alimento? Era quindi giusto pensare che non rompesse il digiuno? Questa domanda fu posta nientemeno che al papa in persona, Pio V per l’esattezza, che nel 1569 decretò che bere cioccolato non interferisse con il digiuno. Ma le controversie non terminarono, e dopo la morte del papa, tali dubbi tornarono a galla. Fino al 1664, quando anche il cardinale Francesco Maria Brancaccio, ribadì che le bevande, inclusa la cioccolata, non rompessero il digiuno.
La morte del vescovo
I contrasti tra Chiesa e cioccolata, portarono addirittura alla morte Dom Bernardo di Salazam, un vescovo che si interpose tra gli spagnoli ed il loro amore per la cioccolata. Il vescovo non sopportava il via vai di servitù che portava la bevanda anche durante i servizi religiosi, e minacciò di scomunicare chiunque consumasse cioccolata durante la funzione. Ciò non significava che lui stesso non fosse un consumatore di questa bevanda, anzi… Sapete come morì? Qualcuno lo uccise, versando del veleno proprio nella sua tazza di cioccolata…
Frati e cioccolato
Nel 1884 presso il monastero di Roma, i frati trappisti, un ordine di monaci circensi, iniziarono a produrre cioccolato. Il sapore è unico ed originale, e la ricetta del loro cioccolato è tutt’oggi segreta. Tra i loro prodotti, tutt’oggi in vendita, troviamo tavolette di cioccolato di diversi gusti. Sul loro logo sono presenti una croce ed il Colosseo.
Gli europei non apprezzarono il cacao fin da subito. I conquistadores cominciarono a consumarlo, in forma di bevanda, come erano soliti fare gli indigeni, solo quando finirono le loro scorte di vino. Furono delle religiose di Oxaca ad avere l’idea di aggiungere lo zucchero di canna al cacao, addolcendo quel sapore amaro e rendendo più apprezzata la bevanda. La vera e propria diffusione partì nel 1580, quando gli spagnoli iniziarono a spedire i primi carichi di semi di cacao in Europa. Ecco quindi, che nacquero le prime cioccolaterie e la cioccolata iniziò a diffondersi, agli inizi, era considerata una bevanda aristocratica, al centro dell’attenzione per gli scambi commerciali, la curiosità dei viaggiatori, e le cerimonie reali.
Cristoforo Colombo, incontrò per la prima volta il cacao durante il suo ultimo viaggio verso il Nuovo Mondo. Era il 1502, quando arrivò a Guanaia, isola dei caraibi, e fu accolto con tessuti, oggetti in rame ed un particolare tipo di mandorla che fungeva sia da moneta che da ingrediente per la realizzazione di una bevanda. Sì, stiamo proprio parlando della fava di cacao. Colombo non comprese da subito l’importanza di questi semi, e nemmeno quando li portò al re Ferdinando II di Aragona, furono particolarmente apprezzati. Chi proprio disprezzò il cacao, fu Girolamo Benzoni, autore dell’Historia del mondo nuovo (1572), che affermò che il cacao era più simile ad una pappa per i porci, che ad una bevanda per gli uomini.
Hernan Cortés (1485-1547)
Hernan Cortés fu il primo europeo a comprendere l’importanza del cacao. Partì con 11 navi da Cuba e sbarcò sulla costa di Tabasco, ad ovest dello Yucatan, il 21 Aprile 1519. Con lui, approdarono più di 500 soldati, e furono tutti accolti pacificamente dagli emissari di Montezuma II. Questo, non li fermò dal conquistare la capitale Azteca con l’utilizzo delle armi, sconosciute agli indigeni, che non opposero resistenza.
A favorire la conquista, contribuì una delle credenze del popolo: come abbiamo già visto nella storia precedente, proprio in quel periodo gli Aztechi aspettavano l’arrivo della reincarnazione del dio Quetzalcoatl, predetta dagli oracoli. Questa coincidenza, portò Montezuma a pensare che fosse proprio Cortéz la reincarnazione del Dio serpente! Ovviamente, viste le sue intenzioni, Cortéz lasciò credere che fosse vero e si fece ricoprire di doni preziosi, e ricevendo in regalo una piantagione di 6000 metri quadri di alberi di cacao, importantissimi e pregiati per il popolo azteco! Cortes impose con la forza la sovranità spagnola, e quand0 tornò in Spagna nel 1528, portò con sé un carico di semi di cacao, il materiale necessario per la lavorazione, e il segreto della ricetta.
Come si diffuse il cacao in Europa?
Abbiamo appena visto come il cioccolato venne introdotto e si diffuse in Spagna. Ma come arrivò, e che impatto ebbe nel resto d’Europa? Iniziamo con una breve carrellata di ciò che accadde nei vari paesi europei, a cui seguiranno approfondimenti negli articoli successivi.
Belgio
Il Belgio, che fu feudo dell’impero spagnolo per due secoli, fu tra i primi territori a scoprire la bevanda del cioccolato, già diffusa nel Cinquecento. Le prime cioccolaterie nacquero alla fine del Seicento a Bruxelles. Grazie al cioccolataio Jean Neuhaus, il Belgio vide la nascita della pralina nel 1912 e del cofanetto di cartone denominato Ballotin nel 1915. (scopri di più – l’invenzione delle praline)
Italia
Gli spagnoli custodivano gelosamente la ricetta, che uscì dalla Spagna solo nel 1606, per opera del fiorentino Antonio Carletti. Fin da subito, i medici italiani utilizzarono il cioccolato come ricostituente, e verso la metà del Seicento, si diffuse in tutta Italia. Anche qui, non fu subito ben accolto da tutti: il Papa Pio V, lo definì addirittura disgustoso! Nonostante ciò, intorno al 1720, l’Italia raggiunse la fama europea grazie alle cioccolaterie di Venezia e Firenze; e nel Gran Ducato di Toscana la ricetta della cioccolata aromatizzata al gelsomino, era custodita come un segreto di stato!
Francia
Nel 1615, Luigi XIII sposò Anna d’Austria, originaria della Spagna, e fu proprio lei ad introdurre il cioccolato a corte francese. David Chaillon fu il primo artigiano cioccolataio francese, che aprì nel 1671 il primo negozio parigino di “cioccolato da bere”. Tra il Seicento ed il Settecento, il gusto tipico del cioccolato francese, comprendeva aromi profumati di vaniglia, chiodi di garofano, cannella e zucchero. La regina Maria Antonietta, invece, amava l’aggiunta di polvere di orchidea, fiore d’arancio o latte di mandorla. Uno dei momenti più importanti per la storia della lavorazione del cioccolato, arrivò nel 1732. quando Du Buisson mise a punto un alto tavolo orizzontale riscaldato con fuoco a legna, che facilitava la macinazione dei semi, introducendo la meccanizzazione della lavorazione del cioccolato. Con la rivoluzione industriale, più avanti, si arrivò ad una vera e propria democraticizzazione, per la quale è importante ricordare due importanti figure: Emile Menier e Victoir Auguste Poulain e l’artigianato, fu messo in secondo piano dalle grandi industrie.
Austria e Germania
La cioccolata arrivò dall’Italia in Austria intorno al 1640. Inizialmente si diffuse nelle corti come bevanda, dando vita con il tempo alla tradizione viennese, che la vede servita in tazza con l’aggiunta di zucchero, vaniglia e panna montata. Ma la vera innovazione, arrivò nel campo della pasticceria, quando nel 1778 nacque la prima ricetta di un dolce al cioccolato, che fu precursore di uno dei dolci tuttora famoso ed apprezzato: la Sacher Torte, realizzata per la prima volta con la ricetta che conosciamo, da Franz Sacher nel 1832. (scopri di più – link)
Gran Bretagna
Il cioccolato giunse in Gran Bretagna nel 1657, entrando in concorrenza con la diffusa moda del consumare caffè. Nel 1674 il cioccolato da masticare, venduto in “rotoli alla spagnola” divenne un dolce popolare. Nel 1697 nacquero a Londra le “Chocolate House”, locali conviviali dedicati alla nuova bevanda ( vedi articolo correlato).
Svizzera
Siamo abituati ad associare la svizzera al cioccolato. Eppure, fu l’ultimo tra gli Stati europei a conoscere il cioccolato! Vi si diffuse, infatti, a partire dal 1750, grazie ai mercanti italiani.
Narra una leggenda Azteca, che una principessa moglie di un valoroso guerriero, fu lasciata a custodire un tesoro. Arrivarono i nemici, ma lei non rivelò loro, dove fosse nascosto. Per vendetta fu uccisa, e da una goccia del suo fedele sangue nacque la pianta di cacao, il cui frutto custodisce i semi come un tesoro, amari come le sue sofferenze e forti come le sue virtù. Fu Quetzalcoatl a fare questo dono per ripagare la fedeltà della fanciulla.
Per gli Aztechi, tutte le fasi della coltivazione del cacao rappresentavano un vero e proprio culto, ed erano accompagnate da speciali rituali. Prima della semina, le fave venivano esposte ai raggi della luna per quattro notti. Durante questo periodo, gli uomini dovevano rimanere casti. Il quinto giorno, i semi venivano posti in terra e i più valorosi potevano ricongiungersi alle donne. Tredici giorni prima del raccolto, gli uomini tornavano all’astinenza, interrotta dopo il raccolto quando si svolgevano orge e feste.
In alcuni paesi del Sud America, i semi costituiscono tuttora un dono rituale tra persone che si amano, o come offerta ai defunti. In Ecuador, l’essiccazione crea il pretesto per la danza del cacao: gli indiani cantano rivoltando i semi sotto al sole. In Venezuela, invece, gli uomini si travestono da diavoli e si sdraiano nell’area di essiccazione. In Europa, questi rituali ci sembrano solitamente tanto affascinanti quando strani. Ma se ci pensiamo bene, anche da noi il cioccolato ha una correlazione con le festività, come la Pasqua, in cui si è soliti regalare le famose uova di cioccolato, e a Natale, momento perfetto per condividere dolci a base di cioccolato con la famiglia.
Il cacao nella mitologia Azteca
Nella mitologia degli Aztechi, la pianta del cacao rappresentava l’albero del Bene e del Male, che cresceva nel paradiso. In questo Eden, viveva la divinità azteca Quetzalcoatl, il serpente-uccello. Vi sono diverse leggende legate all’albero di cacao. Abbiamo già parlato della prima, relativa alla principessa azteca. Ma probabilmente la più importante, soprattutto per gli effetti avuti sul destino degli aztechi, è quella che stiamo per raccontarvi…
Quetzalcoatl, il dio serpente
Quetzalcoatl era il re-prete del Toltechi, e nel X secolo regnava sulla città di Tula. Era venerato come un dio per aver offerto agli uomini l’albero di cacao, insegnando loro come coltivarlo. Questo re era pieno di sé, e chiese allo stregone Tezcatlipoca il dono dell’immortalità. Ma lo stregone, geloso, gli diede una pozione che lo rese pazzo. Il sovrano fuggì imbarcandosi su una zattera fatta di serpenti intrecciati, allontanandosi verso Oriente e profetizzando un suo ritorno. Gli aztechi proseguirono il culto per Quetzalcoatl, venerandolo come il “serpente di piume”. Nel 1519, una cometa ed un terremoto furono interpretati come presagi: gli astrologi, predissero che il loro dio sarebbe tornato il 21 Aprile 1519. IL caso volle, che in quella data, sbarcò sulle loro terre Hernan Cortez. Montezuma, convinto si trattasse di Quetzalcoatl, lo accolse entusiasta. Quando gli aztechi si accorsero dell’errore, era troppo tardi per tentare di resistere, e le disgrazie li portarono fino alla scomparsa della loro civiltà.
Carl von Linné ribattezzò l’albero di cacao, prima conosciuto come Amygdala pecunaria in Theobroma cacao, ovvero “cibo degli dei”, proprio per richiamare il culto che gli indiani gli dedicavano.
La storia del cioccolato vanta di numerosi aneddoti, passando e trasformandosi nel corso di svariati momenti storici. Tra i protagonisti di questo racconto, vi sono popoli di forte importanza storica, e nomi celebri di cui tutti abbiamo sentito parlare, e di cui abbiamo letto sui libri di storia ai tempi della scuola. Una storia di scoperte, conquiste, invenzioni, innovazioni e di grande impatto economico sociale.
Iniziamo questo percorso dalla sua origine. Avete mai notato che quando si parla di cacao, spesso vediamo raffigurate immagini di civiltà precolombiane? Questo è perché il consumo di cacao, ebbe inizio proprio ai tempi di Maya e Aztechi.
L’albero del cacao è originario della grande foresta amazzonica, e queste popolazioni, osservando il comportamento di scimmie e scoiattoli che succhiavano la polpa dei semi di cacao, si convinsero a provare questa esperienza gustativa. Inconsapevolmente, fu proprio così che diedero inizio ad una lunga ed importante storia gastronomica che arriva fino ai giorni nostri. In seguito provarono ad arrostire i semi e schiacciarli per farne una pasta. A poco a poco, la civiltà azteca iniziò ad aromatizzare questa pasta, e prepararne una bevanda nutriente e corroborante.
Montezuma, imperatore azteco del cioccolato
Montezuma II, imperatore di tutti gli aztechi nel XVI secolo, nutriva una sfrenata passione per la cioccolata, consumandone decine di tazze ogni giorno. Anzi, più che tazze, la beveva pura in sfarzose coppe d’oro, mentre il popolo si accontentava di utilizzarla per aromatizzare una pappa di granoturco (l’atolle) consumandola in ciotole di tartaruga. Ritenendolo afrodisiaco, Il re beveva varie tazze di cioccolato prima di recarsi dalle donne del suo gineceo (in realtà, erano probabilmente le spezie come pepe e peperoncino, aggiunte al cioccolato, a crearne l’effetto afrodisiaco).
I medici stregoni scoprirono le virtù medicinali: consentiva di lottare contro la stanchezza e bloccava la diarrea. Il burro di cacao, entrava nella preparazione degli unguenti che curavano piaghe, scottature ed emorroidi. I semi di cacao, oltretutto, divennero una moneta di scambio per l’acquisto di beni e per tributo di imposta al re azteco.
Profezie Azteche
Anche il loro DioQuetzalcoatl (“serpente piumato”), custode del paradiso, aveva un ruolo nella storia del cioccolato: era infatti venerato come custode del cacao, dispensatore di forza e ricchezza.
Secondo le profezie azteche, una maledizione si sarebbe abbattuta sulla capitale dell’impero azteco Tenochtitlan (l’attuale città del Messico): Tezcatlipoca, il dio della guerra, aveva provocato e sconfitto Quetzacoatl, che era fuggito lasciando dietro di sé devastazione e carestie. Aveva annunciato: “Ritornerò e ristabilirò la mia autorità. Sarà un periodo di dure prove e disgrazie per il mio popolo”. Perciò, tutti attendevano il suo ritorno…
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